Amanda - Un racconto di Apolae

 


Avviso: il racconto, così come i toponimi indicati nella storia, appartengono al mondo creato dal videogioco Fallout

*

Eccone un altro. 

Svuoto il caricatore nello stomaco del predone che pensava di prendermi di sorpresa sulle scale, ora un colabudella crivellato che annaffia l'asfalto con deboli fiotti di sangue, fanculo stronzone, t'eri acquattato dietro un mucchio di casse marce come se non ti vedessi, misera merda, adesso ti saccheggio e poi strappo gli occhi, che le cornee me le compra un tizio a Diamond City, uno squilibrato del supercentro chirurgia che le mangia con lardo umano per potenziarsi la vista, questa almeno è la sua scusa, tieni amico fuori dieci tappi e poi schizzo via perché lo vedo che mi punta, ancora sedato, magari resisterebbe ancora un po’, ma io appena stende il gruzzolo alzo i tacchi, piazzo qualche miglio tra me e lui fino alla casa galleggiante Taffington, garantito, meglio il fiume zeppo di piscio radioattivo che la sua faccia da relitto. Comunque perquisisco la preda senza troppi convenevoli, ma a parte due batterie e uno stimpack sigillato, beh, trovo poca roba. Niente soldi il pezzente, non valeva manco il piombo per freddarlo. Gli sfregio la fronte col coltello.

Quelli della Confraternita mi hanno spedito in questi corridoi di detriti e cadaveri senza fornire dettagli, bastardi, torcia in mano nell'oscurità densa, a loro frega solo che arrivi alla cima della torre e trovi il chip, poi loro mi assegneranno una vergine umana, finalmente, come ai papponi culoni di Goodneighbor. Sempre che stavolta mantengano la parola, gli infami. Allora salgo fino al ventesimo piano del macello, sfibrato e incattivito, appoggiato al corrimano arrugginito che mi raschia le dita, calpestando frattaglie di asini e cervi che quasi mi fanno scivolare, grigie e gommose, putride come le viscere di un’angoscia, le schiaccio e puzzano e reprimo conati fino ai gradini dell'attico, topaia lercia, dove sgozzo l'ennesimo nemico mentre mangia in una ciotola, poveraccio, mi dava le spalle fissando la TV, scusa tesoro, però magari preferisce che io l'abbia ucciso, con un ghigno mezzo affogato nella sbobba disgustosa, piena di brodo e umori viola, pappa putrescente e stomachevole, la osservo questa zuppa catarrosa, che già si rapprende purulenta nelle sue narici come fosse viva, faccio una fatica bestia per non sbruffare e riesco a distogliere lo sguardo per un soffio. Stringo le guance. Se non fosse che sento la nausea montare nella penombra del tugurio, rischiarata dal cono della mia torcia e dal pallore di una vecchia trasmissione. 

Un Daytripper è quello che ci vuole, prima che i succhi gastrici prendano l'ascensore dallo stomaco alla bocca, reflusso acido, già si affacciano e corrodono l'ugola, devo fare in fretta che tra il tanfo e tutto il resto sto per svenire, mi palpo le tasche interne e tocco il flacone, la torcia cade e si spegne d'improvviso rotolando per le scale, dannazione, forse si è rotta, sticazzi, svito il tappo della roba, lo schermo della tv proietta una debole ombra sul mio petto, mando giù tutto d'un fiato la pozione magica, yeah baby, trangugio mentre uno spot della Nuka Cola fischia un jingle sincopato, sì, già sto meglio e posso sdrucciolare addosso a uno sgabello. Rifiato convulso. Inspiro-espiro-inspiro-espiro-inspiro-espiro-inspiro-espiro-inspiro-espiro-inspiro-espiro-inspiro-espiro-inspiro-espiro-insipiro. L'attacco d'asma passa. Tampono la fronte fradicia con la manica del cappotto, ho le palpebre calanti e ci metto un po’ a inquadrare la situazione, sbarello, con le pareti che si sciolgono fluide, coagulano in un punto della stanza, fremono nel palpito di un orrido embrione, mi sembra di poterlo toccare, così credo, allora stendo il braccio, lo allungo a dismisura e sento la spalla creparsi, urlo scomposto, rinuncio e mi ritraggo arrotolato come un verme. Il nucleo nero si espande lentamente. Resto in bilico precario, flaccido, inerte sulla soglia di un incubo affogato nell'aborto di una speranza. Aspetto.

Oltre le finestre monta un sibilo rauco, come il rantolo compresso di una belva morente. Davanti a me si è creato un uovo ripugnante, bitorzoluto, bruno e lucido, a malapena visibile nell'ambiente male  illuminato. Eppure lo vedo inglobare i contorni di ciò che mi circonda, offrendo il conforto di una minaccia indifferibile. Pulsa saturo e irregolare, ronza sommesso e poi gonfia una diramazione di vene livide sulla superficie ovale, sforzo necessario con cui estrude verso il basso un cilindro piccolo, di una dozzina di centimetri al massimo, un tubetto raccapricciante che in qualche modo so di dover inghiottire. Vorrei scappare ma sono ancorato allo sgabello, le sue gambe si sono avvinghiate alle mie come una tenaglia, non ho scampo e sento il flusso di un rigurgito percorrermi la gola. Mangia, mi impone una voce lontana ma oppressiva, richiamo antico, non la sento ma posso percepirla e le mie labbra si spalancano in un fiume di vomito copioso e rovente, ngah, prolassa il palato e trascina con sé le gengive coi denti, mi svuoto sul pavimento prostrato a quattro zampe, come un cucciolo sacrificato, finché il cilindro fluttuante avanza e s'infila a forza in bocca, spingendo a strattoni perché è grosso, cazzo, mi sdruma la gola e penetra le mucose secche, quasi mi asfissia, turgido e fetido, secerne un'acqua vischiosa, si fa strada e infine scivola nel mio stomaco con una scossa che mi libera dalla presa dello sgabello. Sono libero, ma annichilito. Rovino a terra su un fianco, trovando la forza di accendere la torcia del Pip-boy al mio braccio. L'ultima disperata risorsa. 

Dopo l'avvio del sistema, le cifre verdi sul display indicano tre ore di autonomia residua. Il led del faretto si scalda e imbianca il pavimento, dissipando il velo del buio. La terrificante sfera pare sparita. Ce la posso fare. Mi inietto lo stimpack sulla coscia. Devo farcela. Un'occhiata attorno. Trovo il chip nella cassaforte incassata nel muro, facile da trovare grazie al detector della Confraternita. La forzo con tre forcine e custodisco il processore nella cartuccera. Missione compiuta, salvo imprevisti. Adesso a casa, Rob. Scendo le scale con cautela, muovendo l'occhio di luce che mi guida nella lenta discesa verso il pianterreno. Nel pugno la mia pistola al plasma, carica e vibrante. Spero non serva più. In testa accarezzo il sogno della mia ricompensa. Una vergine, Cristo. Amanda tutta per me.



Legenda:

tappi = valuta monetaria

stimpack = kit di medicazione

Daytripper = droga allucinogena

Pip-boy = dispositivo da polso per orientamento


(c) 2023 apolae 


Si fa chiamare Apolae perché solo così riesce a scrivere liberamente. Piccoli premi locali per narrativa breve. Pubblicazione nel 2022 nell’antologia di LibroMania (DeA) “The Source. Scrivere sull’Acqua”. Suoi racconti compaiono sulle riviste: CrunchEd, Fiat Lux, In fuga dalla bocciofila, Kairos, L'appeso, L'equivoco, Liberi di scrivere, Linoleum, Nabu Storie, Racconticon, Smezziamo, Spaghetti Writers, Tango Y Gotan e Tremila Battute. Altri testi popolano la pagina Instagram apolae_fotoracconti. Ama la sua famiglia e la letteratura. Si impegna per coniugarle.


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