I nani di Biancaneve - Un racconto di Savina Tamborini


C’era una volta madame Duplan, una vecchia vedova che viveva poco fuori Bordeaux. La sua dimora era un rudere di pietra con un giardino disordinato e inselvatichito.

Il marito l’aveva lasciata nel sonno e lei se ne era accorta soltanto al tardo mattino quando, appena sveglia, si era girata per dargli il primo bacio. 

Erano passati tanti anni ormai e l’idea di poter amare ancora, lei lo andava raccontando a Milù e, chi la sentiva argomentare con la gatta, scuoteva il capo e la evitava.  

Nel giardino trascurato pieno di fronde ed erbacce, Madame Duplan strappava la gramigna con la schiena piegata. «Non è mai troppo tardi, cara Milù, per l’amore c’è sempre tempo». 

La gattina, che non aveva mai conosciuto l’amore in vita sua, come una funambola camminava sul filo del bucato con noncurante regalità egizia. A passi oculati e coda alta raggiunse il muretto di sassi. Si sedette vicino al nanetto con il cartello Bienvenue e si mise a leccarsi la zampa. 

Madame Duplan prese il rastrello. Raccoglieva le foglie e faceva piccole montagne. «L’amore per l’uomo che muore è l’amore da dare al prossimo a venire». 

Un colpo di tosse la interruppe. La sua vicina scosse la testa e Artù ringhiò contro Milù. La gatta, con le orecchie tese, mostrò gli artigli. Artù abbaiava e lei soffiava. 

«Buona Milù, anche tra cane e gatta ci può essere amore!»

La gatta, che di quell’amore non sapeva che farsene, fece un salto, sbattè contro il nano che cadde e si spaccò in due sulle radici del faggio. 

Milù dal ramo guardava il cane spavalda e riprese a leccarsi la zampa. 

«Mon Dieu Milù, guarda cos’hai fatto!»

La vicina trascinò via Artù che sbavava e ringhiava, sulla terra le strisciate delle unghie. 

Madame Duplan raccolse il nano, la testa era staccata dal corpo grassottello. Con le mani avvicinò i pezzi a combaciarli. I nani erano di suo marito e lei li conservava così come lui li aveva lasciati. Era lui la loro Biancaneve. E lei chi era adesso? La strega?

Con i pezzi del nano dentro una busta, Madame Duplan chiuse la porta e si incamminò da Adrien dalle mani d’oro, che ora senza lavoro, aveva tanto bisogno. 

Sbatacchiò alla porta. Adrien aprì l’uscio massiccio. La barba grigia ormai era molto lunga, come quella dei suoi nanetti da giardino. 

«Ma che aspetti a tagliarla, Adrien?»

Lui se l’accarezzò. «A me piace così.»

«A me no», disse madame Duplan e sbrigativa gli allungò il nano rotto. «Me lo devi aggiustare.» 

Adrien guardò i pezzi come se non avesse mai visto un nano da giardino. La sua faccia assunse un’espressione sempre più incantata. 

«Allora?» Madame Duplan estrasse dal seno una banconota accartocciata. «Adrien, guarda che ti pago.»     

Un uomo in giacca e cravatta lo raggiunse sulla soglia. «È tutto a posto, Adrien?». Guardò la vecchia, rilassò le spalle e tolse la mano dal sottogiacca.    

Adrien gli mostrò i pezzi del nano rotto. «Bingo!» 

«Senti Adrien, ho tanto da fare col giardino, non so chi sia questo e non mi piace». Madame Duplan gli infilò i dieci euro nella tasca dei jeans. «Portami il nano domani, e fammelo tornare bello, che mio marito ci teneva tanto!»


Il giorno dopo Adrien arrivò alla casa di Madame Duplan. Nonostante la pioggia, battente la finestra era aperta e lei era intenta a esporre a Milù la teoria dell’amore che finisce ma che non muore. Aprì scocciata e con suo stupore vide Adrien tutto fradicio, profumava di pino e aveva la faccia rasata. In mano teneva il nano riparato, come se fosse nuovo. Non si vedevano nemmeno le crepature. Madame Duplan cambiò umore e invitò Adrien a entrare.

Adrien si accomodò sulla panca in cucina, Milù gli saltò accanto; guardava fuori la pioggia che ticchettava sulla finestra, il nano laccato a nuovo trionfava sulla tavola.

«Proprio un bel lavoro, Adrien, merci beaucoup. Se mio marito fosse vivo non se ne accorgerebbe nemmeno.» Madame Duplan fece un sorriso e scoprì la dentiera. 

«Madame, vi devo parlare!» 

Il tono era così deciso, gli occhi seri. Forse era giunto il momento dell’eterno ritorno? Madame Duplan si alzò piano che la sciatica le faceva male, raggiunse lo specchio e si sistemò i capelli bianchi che le uscivano dispettosi dalla crocchia. Peccato che non aveva più i denti invece di quella macchina da guerra. Ma all’occorrenza se la poteva pure togliere. Ridacchiò nascosta dalla mano sulla bocca. Avrebbe voluto che lo specchio le dicesse che era lei la più bella del reame. 

Adrien posò sul tavolo accanto al nano la banconota che lei gli aveva dato. «Non li voglio i vostri soldi.»  

«Adrien, scusa ma se non li prendi di che camperai?»

Adrien accarezzava Milù. «Ho un affare da proporvi.»

Madame Duplan lo ascoltò senza interromperlo. Lui parlava, gesticolava, Milù si era infastidita, era scesa dalla panca e miagolava vicino alla porta. Uscire con la pioggia e non credere all’evidenza. 

Invece Madame Duplan ci credeva eccome alle parole di Adrien e il futuro sarebbe stato promettente perché i soldi fanno la differenza, ma non sono nulla in confronto all’amore. Avrebbe voluto parlarne con Milù, ma non erano sole e Adrien aspettava una risposta. Allora si fece coraggio e gli fece la sua controproposta perché sull’amore aveva le sue congetture, non lo poteva liquidare così. Adrien non aveva scelta e accettò.  

Adrien e Madame Duplan si strinsero la mano. Lei lo salutò con un bacio sulla bocca. Lui chiuse gli occhi e serrò le labbra, lei rimase con gli occhi apertissimi. 

Aveva smesso di piovere anche se le gocce cadevano dal faggio belle grosse. Adrien se ne beccò una nell’occhio e lo fece lacrimare, ma non era triste. Sarebbe finalmente diventato ricco e anche madame avrebbe avuto la sua buona parte. 

Con i soldi madame Duplan avrebbe fatto sistemare il giardino e trasformare il suo rudere in una casa accogliente e decorosa. L’affare era vantaggioso sia per lui che per lei; un po’ d’amore in cambio di nani ripieni di cocaina nel suo giardino, al sicuro da ogni sospetto. 

«Che ti avevo detto Milù?» Madame Duplan tagliò la rosa accorta a non pungersi. «Con un pizzico di fortuna e buona volontà, l’amore è la cosa più semplice che c’è». 




Savina Tamborini (she/her)
Nata a Varese il 19 ottobre 1974

Sono un’autrice che ha già pubblicato un cd di fiabe per bimbə quando facevo workshop alle Biblioteche di Roma. Poi mi sono trasferita a Stoccolma, mi sono sposata, due figlie e alla soglia del divorzio ho finalmente ripreso a scrivere. 

Dal 2021 ho pubblicato più di venti racconti e una rubrica queer. 
Il mio memoir Leggere il tempo, conferenza di Rachele Boito è stato selezionato per la pubblicazione, alla prima edizione 2022 del Concorso letterario nazionale per racconti inediti, Donne che raccontano storie

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