Cupido - Un racconto di Claudio Santoro
«Per di qua.»
«Oh, che galanteria.»
Lui sorrise. «Non ti piace?»
«La amo» ammise lei, poi aggiunse in un sussurro: «La galanteria è la più dolce tentazione del diavolo.»
Non era la prima volta che parlava del diavolo. Aveva cominciato quando il cameriere aveva portato a tavola gli antipasti. Giocando con la forchetta tra le onde dei salumi e stuzzicando le crepe dei formaggi, aveva ridacchiato da sola. Lui non aveva smesso di guardarla un secondo e quando lei lo aveva interrogato, lui era riuscito soltanto a scuotere la testa. «Perché mi fissi? Non hai mai visto il diavolo a tavola?»
Ora, dopo una cena deliziosa iniziata con quell’antipasto, erano arrivati alla camera d’albergo. Lui conosceva a memoria ogni centimetro della moquette dei corridoi, l’odore dolciastro dell’ascensore, il silenzio intorno alle stanze e lo strano calore che si sentiva sfiorando la porta della camera 92. Le altre non le aveva mai visitate e qualcosa nella sua testa gli suggeriva ogni volta che, magari, neppure esistevano, che quelle porte erano solo un’illusione, come in un set cinematografico, erano di cartone e oltre non vi era nulla.
Un pizzico di nervosismo lo prese alla sprovvista. Perché? Erano anni che lo faceva, anni che entrava e usciva da quell’albergo con donne diverse ma sempre con lo stesso pensiero in testa, con lo stesso fine peccaminoso. Lei aveva qualcosa di diverso?
«Che c’è? Hai perso la chiave?» lo canzonò piantandosi con la schiena contro la porta e iniziando ad accarezzarsi una gamba con i polpastrelli. «Dio, sarebbe un bel casino. Lo facciamo qui?»
«Certe cose non si fanno in pubblico» sospirò lui tirando finalmente fuori la chiave.
«Sei un tipo discreto.»
«Non sai quanto.»
Entrarono. Lei prese a camminare per la stanza osservando l’arredamento spartano, fin troppo classico per il suo gusto elaborato, lo stesso gusto che l’aveva portata a scegliere lui in mezzo alle decine di uomini presenti al convegno.
Lui, dagli occhi così tristi, eppure così vivi.
Lui, elegante ma dai polsi decisi, il passo di uno sportivo.
Lui, che sembrava perennemente tormentato da un segreto indicibile.
Finse di ispezionare il bagno, poi si lasciò andare sul bordo del letto, le gambe penzoloni. Con un gesto voluttuoso cacciò via le decolté e si mise a fissarlo mordicchiandosi un labbro.
Lui era in piedi di fronte a lei. E la desiderava tremendamente. «Se tuo marito sapesse...»
«Mio marito mi immagina su un palco a parlare di pubblicità.» Aprì i bottoni della camicetta. Sotto aveva un reggiseno nero semitrasparente. Lui vide un neo appena sopra il seno sinistro «Mio marito non ha le palle. Tu sì.» E nel finire di parlare – quanto le costavano quelle inutili parole! – alzò una gamba e prese a strusciare il piede fra quelle di lui. «Vieni... qui...»
Lui percorse per l’ultima volta con lo sguardo il corpo di lei e intanto infilò una mano nella tasca interna della giacca. Sì, la desiderava, e forse c’era qualcos’altro. Come ogni volta che entrava nella stanza 92. Ma non poteva dar retta a certe sensazioni. Avrebbe finito per sposarsi e perdere per sempre il suo lavoro.
«Te ne regalo una, se vuoi» le disse.
Lei ridacchiò come una bambina. «Una palla?»
Fu rapido a tirar fuori dalla giacca la pistola e a puntarla sul seno di lei. «Sì. Nel cuore.»
Lo sguardo di incredulità che gli regalò un istante prima del colpo lo fece quasi innamorare.
Cerveteri, 7 luglio 2023
(c) 2023 Claudio Santoro
Claudio Santoro nasce a Roma nel «calcitrante Monteverde» raccontato da Pasolini. Ha studiato Filosofia alla Sapienza di Roma prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura come ghostwriter, editor e coach letterario. Ha curato diverse antologie. Come autore ha pubblicato racconti per Les Flâneurs, I Parolanti, Edizioni della Sera e Meligrana. Ama la scrittura di Poe, Dostoesvkij e Kafka e il cinema di Chaplin, Sergio Leone e Kubrick.
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