L'amico di Bologna - Un racconto di Miro Cruciani

 


I raggi del sole al tramonto trafiggono il reticolo di funi elettriche della stazione, quando, già stanco, scavallo la vetta del ponte di via Stalingrado e incomincio la discesa. La stanza che sto per visitare è la più promettente tra quelle viste finora: prezzo basso e posizione centrale.


Mi presento ai due inquilini: Flavia e Mauro. Flavia mi fa accomodare al tavolo del salone.

“Il ragazzo prima di te è sparito da un giorno all’altro, portandosi via tutte le sue cose.” Prende posto al lato del tavolo. “Che c’era scritto sul biglietto che ci ha lasciato?”

Mauro assume un’espressione divertita. “‘Morite male merde’”.

Sorrido anch’io.

“Ti faremo alcune domande, per conoscerci. Iniziamo: come hai vissuto il periodo del lockdown?”

Improvviso risposte il più possibile brillanti ed elusive al loro delirante interrogatorio, ma la performance è disturbata dal modo strano che hanno di fissarmi, che mi fa perdere la concentrazione. Più che prestare attenzione al contenuto delle mie risposte, sembrano intenti a registrare ogni mio impercettibile movimento facciale.

Alla fine Flavia, richiuso il libro dell’oroscopo cinese appena consultato, stabilisce che sono quello giusto.


Faccio esplodere la valigia nella mia nuova camera dalle pareti scorticate e torno in salone, con indosso la felpa fricchettona delle Grandi Occasioni.

“Avete qualche programma per stasera?”

Flavia mi risponde senza distogliere lo sguardo dal portatile che tiene in grembo. “Bello mio, noi qui domani si lavora.”

“Sai che ti conviene fare?” Mauro si tira su con i gomiti dalla conca del divano in cui era sprofondato. “Inizia prendendoti un drink al Segafredo. Poi vai al circolo ARCI in Via Zamboni e ti fai fare qualche altro drink. Dopodiché, se sei bello carico, prendi l’autobus e te ne vai a ballare al Lokomotiv.”

Annuisco: Segafredo, ARCI, Lokomotiv. Mauro agguanta una bustina d’erba sul tavolino.

“Fumi una canna, prima di andare?”

“No grazie, altrimenti divento troppo timido.”

Flavia mi lancia uno sguardino malizioso con la coda dell’occhio.


Prendo posto al circolo ARCI e parto a sorseggiare la terza birra della serata. Non ho ancora parlato con nessuno, tranne che coi baristi.

“Ehi, ti va di sederti qui con noi?” Un ragazzo coi Ray-Ban, seduto tra un metallaro moro e una bionda carina, mi sorride dal tavolo accanto al mio. Accetto l’invito di buon grado. Mi presento, poi il tipo attacca a parlare.

“Piacere, mi chiamo Stefano. Stavo raccontando una leggenda su D’Annunzio, una delle meno conosciute. Ricomincio daccapo.” Stefano trangugia in pochi sorsi la quasi totalità del suo drink rossastro. “Nella sua vita al Vittoriale, il Vate s’era ormai rotto delle sue solite amanti, tutte con la figa ormai troppo slargata. Sviluppa allora questo ingegnoso metodo per godere a pieno: prende uno dei suoi polli e lo mette in posizione prona con la testa infilata in un cassettone aperto. Se lo scopa e, prima di venire, chiude di scatto il cassetto. I muscoli del pollo si irrigidiscono all’improvviso e lui orgasma dentro il buco più stretto che voi possiate immaginare.”

Stefano fa un sorso solenne, poi si volta verso di me con un sorriso sornione.

“Sei nuovo a Bologna?”

“Sì, sono arrivato l’altro ieri. Mi sono iscritto alla magistrale di Lettere moderne.”

“Alla magistrale... sei più grande di me, quindi.” Tergiversa un secondo cercando le parole giuste. “Ma sei comunque una matricola. E io adoro le matricole. Vuoi divertirti stasera?!”

“Direi di sì.”

“Allora finisci la birra e passa al gin campari anche tu.”

Dopo il mio primo giro, il metallaro e la bionda prendono congedo. Chissà perché, mentre mi saluta, lo sguardo della ragazza sembra colmo di pietà.

Resto a parlare con Stefano per un’altra ora, durante la quale ci scoliamo altri tre o quattro gin campari a testa. Stefano dirige il ritmo della conversazione magistralmente: vuole parlare di geopolitica, poi, con destrezza, fa virare la conversazione sulla scena trap italiana. Carpisce in anticipo quando la conversazione sta per impantanarsi e cambia argomento. Alla fine, mi chiede se ho intenzione di restare al circolo ARCI tutta la sera.

“No, contavo di andare al Lokomotiv.”

Schiocca la lingua. “No, no, no. So io dove dobbiamo andare.”


Discendo le scale di un club sotterraneo. Un brano dark wave rimbomba dalle pareti scure di finto marmo. Stefano mi fa strada e saluta chiunque incrocia, lo perdo di vista appena arrivo nella sala principale. Guadagno le prime postazioni di fronte al gabbiotto dove la DJ mixa i suoi dischi. Fletto di scatto un ginocchio e sprofondo di qualche centimetro in corrispondenza del colpo di rullante. Ripeto il gesto a ogni battuta. Faccio qualche passettino verso un gruppo di ragazze, dissimulando l’intenzionalità dello spostamento dietro la casuale entropia del ballo. Lei è lì che balla. 

Un tubino corto le scorre fino alle gambe che terminano in un paio di massicci anfibi. Sembra provenire dalle fantasie erotiche di un nerd nipponico, l’incarnazione di un sogno. Deve però trattarsi del contrario: carne, a forma di sogno erotico. Non ci proverei mai con lei, che sia qualcun altro a sottoporsi al suo gioco al massacro! Ballo senza guardarla.

Dopo un po’ sento il calore di un paio di labbra che mi sfiorano l’orecchio.

“Chiederesti alla DJ se mette i Molchat Doma?”

Le labbra appartengono alla piccola dea, che mi guarda con due occhioni divertiti e un poco intimoriti.

Inspiro profondamente per riuscire a risponderle. “No, non vorrei scassarle il cazzo.”

Correggo il tiro un istante dopo. “Però bei gusti. Ti va un campari col gin?”

Accetta.

Mi dice di chiamarsi Melania. Che ha in programma un viaggio a Torino, che Bologna l’ha stufata: troppo gentrificata, piena di stupidi fighetti...

Ci rimettiamo a ballare e adesso le sue braccia, nei loro movimenti ipnotici, finiscono per incontrarsi con le mie. Le disegno degli archi tutt’intorno e lei si lascia inghiottire in quella nicchia ideale. La vista mi si annebbia e i lombi schiumano nel cranio. Dopo qualche minuto sento che non riesco ad andare oltre, che devo prendermi una pausa per respirare.

Stefano è al bancone e mi osserva raggiungerlo con su stampato un ghignetto drogato: degli amici gli hanno appena offerto un tiro di bamba. Gli racconto di Melania.

“Sei fortunato, amico mio. Sei in città da tre giorni e hai già ballato con la ninfetta più squisita di Bolo.”

“Perché ninfetta!? Quanti anni ha?”

“Non so esattamente, ma sicuramente meno di diciotto.”

“Cosa?!”

Essere minorenni significa essere perfetti, diceva Oscarino, il poeta.” Ordina un altro gin campari e si fa più serio. “Non dirmi che ti fai di sti problemi. Pensi che la plageresti? È più probabile che lei plagi te, guarda.”

Ci dividiamo il drink e ce lo scoliamo in pochi secondi. Il battito cardiaco è tornato ai livelli normali da sbronza: posso affrontare un altro round di tempesta ormonale.

Tornato in mezzo alla pista, però, di Melania non v’è più traccia.


Mi risveglio in camera in preda a una sete furiosa, senza il contatto di Melania e con un lobo del cervello che grida vendetta. Non ho la forza di alzarmi dal letto.


Sono le diciassette, sto sul divano boccheggiante e sorseggio faticosamente la tisana allo zenzero che Flavia si è offerta di preparami. L’OKI che mi ha ceduto Mauro sta cominciando a fare effetto, sento che l’emicrania sta dolcemente scomparendo. Ad ogni sorso di tisana anche la nausea sfuma. Flavia, seduta accanto a me, ha fatto partire la terza stagione di Stranger Things dalla smart TV. Ogni tanto mi getta uno sguardo amorevole, come per controllare che io stia bene. A parte i gusti mediocri in materia di serie tv, sono proprio dei coinquilini fantastici, sento che mi ci sono già affezionato, che è come se fossimo amici da anni.

Mauro, seduto sulla poltrona-trono accanto al divano, mi passa un cannone d’erba, che accetto.

“Ma non lavori oggi, Mauro?”

“No, giorno libero.”

“Ah.”

“Ma non dovrei più prendermeli sti giorni liberi.” Si incupisce. “L’altro ieri sono andato alla Wind perché il nuovo telefono non leggeva la SIM. E l’operatore ha cominciato a darmi mazzate: ‘Per questo modello serve una nanoSIM! Costa 15 euro.’” Parla in falsetto. “‘Ah ma qui il carrelletto è rotto! Il cambio viene 20 euro,’ ‘Tra l’altro, se vuole davvero usare il suo telefono, deve aggiornare il piano tariffario: è obsoleto per un telefono così nuovo, il più economico sta a 19 euro.’”

Finalmente Mauro sembra acquietarsi.

“Lo dovresti sapere, Mauro,” dice Flavia in tono calmo, “tutti nel mondo vogliono mettertelo in culo”. Lo dice sempre anche mia madre.

“Persino se sei un pollo, se appartieni a D’Annunzio,” aggiungo io.

Uno spasmo di risata gelida trafigge Flavia, che poi ritorna immediatamente seria. Conosceva anche lei la leggenda? Pensavo se la fosse inventata di sana pianta quel pazzo di Stefano. Sto per chiederglielo, ma lo sguardo serio, furtivo, che si scambiano Flavia e Mauro, mi priva delle parole. Cosa intendeva dire quello sguardo? Un’evidente cortina di disagio cala su di noi. Deve essere la canna, non è successo nulla. E invece sì: Flavia ha appena controllato che faccia avessi! Voleva controllare se avevo notato qualcosa di strano. E ora ha capito che ho capito. Stanno pensando che si sono già pentiti di avermi preso, che sono un coglione che pensa solo a divertirsi e torna a casa senza rimorchiare e che poi va aiutato a riprendersi. Sì, l’ho capito. Sento che il mio battito e il mio respiro – aspetta, anche i loro! – aumentano di frequenza.

Chiudo gli occhi per fuggire da questa situazione orrenda.


Lo strillo del citofono interrompe lo stato di dormiveglia nel quale sono sprofondato. Flavia si alza e va a rispondere. “È per te, dice di essere un tuo amico. Dice che ha con sé una cosa che vuole mostrarti.”

Stefano?! Non mi pare di avergli specificato il civico né il citofono. Alzo le spalle e faccio di no con la testa. Flavia mi risponde con uno strano sorriso, selvaggio. Mi odia. L’inconfondibile figura con gli occhiali da sole di Stefano fa la sua comparsa sull’uscio. Ha qualcosa con sé... un trolley?

“Amico mio,” esclama guardandomi con una faccia da pazzo totale, “guarda che ti ho portato.”

La cosa che Stefano trascina non è un trolley: è Melania. Barcollante, arruffata, con gli occhi ribaltati all’indietro, ma sì: è la piccola dea di ieri sera.

Stefano la frappone tra lui e me.

“Eccotela qua. Ora ci divertiamo.” Sputacchia mentre parla. “Ti avviso però: non ce l’ha così stretta come ti immagini.”

Cosa ho appena sentito?! Dopo questa mi cacciano di casa.

Flavia, lo sguardo fisso nel vuoto, sorride timidamente. Mauro, seduto in poltrona accanto a me, ha gli occhi di fuori, occhi che esprimono un'eccitazione smisurata.

“Niente, eh?” Stefano lascia la presa su Melania, che si accascia a terra. “Ma io dico...” Scuote la testa. “Chi ha il pane non ha i denti! Uno vi imbastisce il banchetto e voi rifiutate, rifiutate!” Si curva su di me e sussurra. “Io no. Non riesco proprio a rifiutarlo un bel polletto, quand’è pronto e servito.” Alza la voce senza distogliermi gli occhiali di dosso. “Mauro, allo Scrigno!”.

La poltrona dietro di me emette uno stridio e sobbalza e due braccia di roccia mi agguantano e mi sollevano. Mauro mi fa volteggiare ora sopra Melania, ora accanto a Flavia, che tiene le braccia conserte e ha gli occhi infuocati. “Te l’abbiamo trovato proprio carino stavolta, vero?”

“Vero,” fa Stefano.

Non era odio, allora.

Vengo trascinato lungo il corridoio, e la voce del bulletto delle medie nella mia testa non fa che ripetere: “Ci sei cascato, fagiano.”

“Ce lo devi far scopare anche a noi,” dice Flavia da dietro.

Mauro apre la porta della sua camera con una mano, e con l’altra mi spinge in un angolo della stanza dove un possente armadio a muro, con le ante aperte, staziona orgoglioso.

“Sì, anche a noi.”

È andata. Sto per crepare così.

Qualcuno mi sfila i pantaloni, mentre mi spingono la testa nell’armadio.

Oh mamma, perdonami per tutto!


(c) 2023 Miro Cruciani


Miro Cruciani nasce a Roma il 16 novembre 1994. Per i primi due anni vive in un’occupazione a Pietralata, poi la famiglia acquista una casa ad Ostia e ci si trasferisce. Dopo il liceo scientifico, Miro si iscrive alla Facoltà di Psicologia della Sapienza. Sono anni all’insegna di uno stile di vita aristocratico: sveglia a mezzogiorno, cena alle 2, pochissimo lavoro e tante attività pseudo-artistiche. Porta avanti questo stile di vita anche a Trento, dove, alla fine del 2017, si era trasferito per continuare gli studi. Ottenuta la laurea magistrale nel Luglio 2022, svolge attualmente il Servizio Civile presso il Servizio di Salute Mentale di Trento.

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