La regola del vantaggio - Un racconto di Giuseppe Congedo


 Valerio sorrise osservando compiaciuto il riflesso dei suoi denti macchiati sulla lama del coltello.

Dalla piccola radio posata a terra Marco Ferradini cantava di prendere una donna e di trattarla male, di lasciarla ad aspettarti per ore.

L’uomo legato alla sedia era ridotto decisamente peggio di qualsiasi donna trattata da schifo da Ferradini o da qualsivoglia altro stronzo in circolazione.

Tossiva sangue e lamenti nello straccio lurido che gli chiudeva la bocca. Le corde ruvide gli lasciavano escoriazioni violacee su polsi e caviglie. Indossava solo un paio di Jeans scuriti dal sangue e dalla vescica resa incontrollabile dal dolore.

Tutt’intorno la desolazione vuota e squallida di un vasto capannone industriale in disuso. Sopra  un grande tavolo in ferro mangiato dalla ruggine, diversi arnesi erano disposti con ordine quasi maniacale. Coltelli di varia misura, punteruoli, martelli, un seghetto per il legno e un cannello per fiamma ossidrica.

Lo squittio dei topi contrastava con la voce della radio che suggeriva di essere un tenero amante ma di non avere nessuna pietà fuori dal letto.

Valerio saggiò il filo della lama con il pollice. «Un rasoio… bene, bene.»

Si avvicinò deciso all’uomo legato alla sedia e gli incise la carne appena sopra la clavicola sinistra. L’uomo gettò la testa indietro in un urlo soffocato. Un taglio profondo si aprì con la forma di una V orizzontale. Il sangue iniziò a fluire copioso.

Non era il primo taglio… e neanche il secondo.

Il corpo dell’uomo era martoriato. Ferite più o meno profonde, ecchimosi nerastre, segni viola acceso di bruciature lungo tutta la schiena. Il sangue gli scivolava addosso come acqua di doccia sul culo delle modelle nelle pubblicità dei bagnoschiuma anni ottanta. A terra, un arcipelago di macchie in varie sfumature di rosso. Vermiglio acceso per il sangue ancora fresco. Mattone scuro per quello coagulato o intriso della polvere del pavimento lercio. Una chiazza di urina si allargava inglobando tutto il resto. La puzza era atroce.

Valerio osservò la lucidità del muscolo esposto e si sentì avvampare di eccitazione. La maglietta di Non è la Rai che indossava gli si era appiccicata alla schiena per il sudore. Lo sentiva raffreddarsi minuto dopo minuto. Gli schizzi di sangue rendevano mefistofelico il dolce sorriso di una giovanissima Ambra Angiolini.

Marco Ferradini diceva allora sì vedrai che t’amerà.

La luce che filtrava dalle finestre in alto era ambrata e obliqua, scurita dall’avanzare del tardo pomeriggio.

Alcuni piccioni sostavano placidi sul davanzale, con le piume scompigliate dalla brezza che soffiava attraverso i vetri rotti.

Topi e scarafaggi zampettavano a debita distanza.

Valerio stava per incidere una nuova ferita nelle carni del malcapitato quando la voce di suo fratello Alfredo lo inchiodò sul posto. «Non ci credo, si è pisciato sotto anche questo.»

Colti di sorpresa, i piccioni si sollevarono in un frullare di ali convulso. Fecero un giro circolare dell’edificio e tornarono a posarsi sul davanzale.

Valerio si voltò di scatto. «Finalmente sei tornato. È più di un’ora che me la sto cavando da solo.»

«E te la stai cavando male, come al solito… guarda che macello. Adesso questo stronzo mi sporca di piscio tutto il portabagagli.» Alfredo indossava un abito elegante che gli calzava a pennello. Pantaloni e giacca nero fumo, una camicia tendente all’azzurro con profonde macchie di sudore che partivano da sotto le ascelle e si facevano strada fino alla pancia prominente. Ai piedi, mocassini blu notte.

Valerio rispose con una smorfia rabbiosa. Detestava l’aria di superiorità che suo fratello mostrava ad ogni respiro. Sempre vestito di tutto punto, sempre pronto a criticare, il cocco di mamma. Se non fosse stato il maggiore gliel’avrebbe fatta vedere lui. Ma certe regole in famiglia erano sacre, indiscutibili, intoccabili.

Valerio era il fratello minore e, in quanto tale, doveva lavorare, ubbidire… e subire.

L’uomo legato alla sedia emise un mugugno strozzato.

Marco Ferradini non sembrava più tanto convinto della validità del suo Teorema.

Alfredo si avvicinò all’uomo martoriato. «Coltello e martello, non cambi mai.»

«Se è per questo mi sono divertito anche un po’ con la fiamma ossidrica. Guarda che belle bruciature gli ho lasciato qui dietro la schiena» rispose Valerio.

Alfredo fece un gesto rapido con la mano, come per scacciare un insetto molesto. «Sì, sì, va bene. Hai fatto abbastanza. Possiamo caricarlo e portarlo a destinazione.»

«Di già? È ancora presto e credo che questo stronzo conservi abbastanza forza per scappare lontano.»

Alfredo si fece serio. «In questo caso la colpa sarà tua… e ne pagherai le conseguenze.»

Valerio rimase impalato per un momento. La testa che gli ronzava come un televisore a neve. Poi, come ridestatosi da un sogno, si portò dietro all’uomo legato e mostrò il coltello ad Alfredo. «Ho un’idea. Che ne dici se gli taglio tutte e due i tendini alle caviglie?»

L’uomo ferito strattonò con forza le corde che lo tenevano bloccato. Schiumava saliva densa dalla bocca serrata.

Alfredo prese a battere le mani come di fronte ad uno spettacolo davvero ben riuscito. «E bravo coglione.»

Valerio allargò le braccia per chiedere spiegazioni. La lama del coltello catturò la luce calda del pomeriggio e la restituì sotto forma di barbaglii accecanti.

«Se gli tagli i tendini alle caviglie» continuò Alfredo, «come cazzo farà a muoversi? Non deve avere forze sufficienti per mettersi in salvo ma deve comunque sapersi destreggiare. La vana possibilità di farla franca gli deve essere concessa… altrimenti la prova non sarà considerata valida.»

Valerio abbassò lo sguardo, piccato nell’animo. «Hai ragione.»

«Certo che ho ragione, avevi qualche dubbio?» chiese Alfredo, togliendosi la giacca e posandola sul tavolo ingombro.

Afferrò il martello e diede una piccola spinta a Valerio per farlo allontanare.

«Guarda come si fa» disse e colpì l’uomo dritto sulle costole. Le urla del malcapitato quasi riuscirono a superare il bavaglio stretto. Lo colpì una seconda volta, poi una terza. Le costole si spezzarono con un rumore di rami calpestati.

I piccioni, ormai abituati a tutto quel macello, rimasero immobili e placidi.

L’uomo legato alla sedia si agitava come in preda alla corrente elettrica.

Alfredo gettò il martello ai piedi del fratello. «Con le costole spezzate il dolore sarà insopportabile e farà una fatica boia a respirare. Potrà ancora correre ma non andrà molto lontano. Hai visto? Ho fatto più io in un minuto che te in una giornata.»

Valerio digrignò i denti resistendo all’impulso di saltargli addosso e piantargli la lama del coltello nel collo. Strinse il manico fino a farsi sbiancare le nocche. «Vuoi un applauso?»

Alfredo si rimise la giacca. «No, voglio che sleghi quello stronzo e lo carichi nel portabagagli. Non abbiamo altro tempo da perdere. Lui ci sta aspettando in macchina.»

Valerio lasciò cadere il coltello. «Lo hai già prelevato?»

«Certo, che cazzo dovevo aspettare, la carrozza?»

«Come sta?»

Alfredo fece una smorfia. «Come vuoi che stia… agitato, come tutti. Tu non lo eri?»

«Io mi sono cagato sotto dall’inizio alla fine.»

«Ci avrei scommesso» disse Alfredo, soffocando a stento una risata cattiva e voltandosi per raggiungere l’uscita.

Valerio pensò che se fosse stato rapido sarebbe riuscito a raggiungerlo in un balzo e a piantargli il coltello dritto tra le scapole. 

Come se gli avesse letto nel pensiero, Alfredo si voltò di scatto. Gli occhi duri e incandescenti.

Valerio sentì il cuore affondargli nel petto.

«Se oltre a pisciarsi addosso quello stronzo si è anche cagato nelle mutande» disse Alfredo con tono cupo, «quella roba te la faccio mangiare a te, sono stato chiaro?» 

Valerio annuì in silenzio. Subito dopo iniziò a slegare le corde che tenevano fermo l’uomo sulla sedia.

Marco Ferradini pontificava parlando di regole d’amore.


Valerio soffocò a stento una risata quando vide l’uomo correre a perdifiato tra la vegetazione e sparire alla vista. Nonostante le torture e le costole spezzate, le forze sembravano non averlo abbandonato quasi per niente. Scomparve come un fantasma in un video amatoriale.

La sera era ormai scesa e il cielo bruciava di un arancione intenso ad ovest, appena sopra la linea dell’orizzonte. Poche nuvole stratificate sembravano accese dall’interno.

Il bosco, immenso, si andava riempiendo di ombre che rendevano il buio ancora più denso. Quasi una cosa viva che si perdeva nel fitto, in attesa. Gli alberi ondeggiavano nella brezza tiepida della sera.

C’era odore di selvatico, erba incolta e merda.

Poco distante, le rane gracidavano in un canto quasi ipnotico.

«E meno male che le costole spezzate dovevano rallentarlo. È corso via come se avesse un razzo infilato su per il culo» disse ironico Valerio.

Alfredo non si scompose. «La libertà riconquistata è un motore molto potente, ma si esaurisce subito. Il dolore arriverà. E poi, non deve essere facile. Va bene il vantaggio… ma il ragazzo deve comunque guadagnarsela l’entrata in Società.»

Valerio si voltò verso l’automobile. «A proposito, è ora di farlo scendere.»

Alfredo si avvicinò al Suv e aprì lo sportello posteriore.

Ne scese un bambino di dieci anni. Capelli biondi tagliati a scodella e profondi occhi azzurri resi quasi grigi dalla poca luce serale e da un’ansia palpabile. Indossava un completo mimetico che lo faceva sembrare un piccolo soldato in una recita scolastica.

Il bambino corse subito vicino a Valerio guardando dritto nel folto del bosco. Dietro di lui, Alfredo prese il fucile da caccia che si erano portati appresso e li raggiunse con calma. I mocassini si sposavano poco con il terreno sconnesso di quella zona selvatica.

«È già scappato nel bosco» disse il bambino, la voce incrinata dall’eccitazione e dall’ansia.

«Sai come funziona, Daniele» disse Alfredo, solenne. «La preda ha sempre il vantaggio iniziale. Comunque io e zio Valerio lo abbiamo frollato per bene tutto il pomeriggio. Dovrebbe rendergli la fuga più difficile… e questo è il vantaggio che spetta a te. Ricordi la regola principale?»

Daniele guardò lo zio dritto negli occhi. «Un solo colpo… mortale.»

Alfredo estrasse una cartuccia a pallettoni e la inserì nel fucile. «Uno solo. Devi dare la caccia alla preda e ucciderla con un solo colpo. Non hai altre munizioni, non hai altre possibilità. Fallisci e non potrai far parte della Sacra Società che governa la nostra famiglia. Uccidilo, e tutte le porte ti saranno aperte.»

Alfredo notò che, alla parola Uccidilo, gli occhi del bambino si accesero di una strana luce innaturale. Una scintilla di odio e rabbia primordiale. Un brivido gli accarezzò la schiena per tutta la sua lunghezza.

Lo scatto del caricatore provocò un frullare di ali tra le fronde degli alberi. Le rane smisero di gracidare.

Consegnò il fucile nelle mani del bambino. Sembrava enorme tra quelle braccia fragili e magre. Poi gli consegnò una torcia a pile. «Ora vai, noi aspettiamo qui, pronti a festeggiare il tuo ingresso in Società.»

Daniele fece qualche passo tra gli alberi che lo sovrastavano come sentinelle crudeli di terre dimenticate.

Valerio scosse la testa. «Non sarà troppo piccolo per questo?»

Alfredo si passò una mano sulla fronte. «Ha la stessa età che avevamo tutti quando siamo entrati in Società. Dieci anni, la prima età a doppia cifra. Le tradizioni non si discutono.»

«Spero di aver fatto un buon lavoro di frollatura con la preda. Se gli scappa, nostro nipote è fottuto e mamma ci taglierà le palle.»

«Le taglierà a te… e non sarà tutto questo gran lavoro.»

«Potresti smetterla di fare il fratello stronzo, almeno in questa situazione. Non ce l’ hai un minimo di paura?»

Il bambino si voltò un’ultima volta.

Alfredo vide di nuovo quella scintilla nei suoi occhi. «Ce la farà, al primo colpo. Sarà una passeggiata.»

Valerio rimase in silenzio. Il volto macchiato di sangue di Ambra Angiolini sembrava un Clown psicopatico nel rossore dell’ultima luce del giorno.

Il bambino si mosse furtivo tra la vegetazione.

Il bosco lo inghiottì.

Le rane tornarono a gracidare.


(c) 2022 Giuseppe Congedo

Giuseppe Congedo nasce ad Aprilia (LT), il 27/09/1983. Sin da bambino si appassiona follemente al mondo del fumetto e della letteratura. Diplomato in agraria, si iscrive successivamente alla Scuola internazionale di Comics di Roma, conseguendo un diploma in sceneggiatura e un master di specializzazione. Da quel momento, non lascia più tregua alla penna. Scrive sceneggiature, racconti e poesie… e ogni tanto li pubblica pure.

Commenti

Post più popolari