La donna che partorì nove volte - Un racconto di Valerio Cacciagrano

 


Mio caro Stones, 

Mi accingo a scrivere queste mie dichiarazioni, le ultime testimonianze della mia lucidità, su questo misero e impiastricciato pezzetto di carta che ho trovato mettendo a soqquadro, più di quanto già lo fosse, l’appartamento dove ora alloggio. Ho dovuto perfino chiedere all’affittuario di andare a spedire di persona questa lettera a nome suo, per evitare di essere deriso anche dagli umili lavoratori. 

So per certo che non riceverò alcuna risposta ma almeno voglio sperare che il testo di questa lettera  ti pervaderà in maniera diversa rispetto al gran polverone alzatosi oramai mesi fa. Mi rivolgo a te, unico amico ed ex compagno di studi, per raccontarti i fatti, anche se non hai mai fatto niente in mia difesa. Nemmeno una parola per liberarmi da questa beffa voluta dal destino.

Come già sai, la mia disfatta iniziò quando dovetti recarmi, con una certa urgenza, in un villaggio a sud della Bretagna. Se devo essere sincero, fui il solo a insistere su questo caso. E nessun altro. 

I ripensamenti, che mi avevano tenuto compagnia nella carrozza per tutto il viaggio oltre alla mia borsa da lavoro, mi ronzavano ancora in testa, non lo nego, anche dopo essermi insozzato gli stivali su quelle strade ricoperte di fango e di altri orrori che non voglio immaginare.

Fatto sta che non mi posi ulteriori problemi quando mi incamminai alla ricerca del mio paziente. Nella richiesta speditami tempo addietro non era specificato alcun nome né tantomeno il problema che mi avrebbe portato a lasciare la mia città e, soprattutto, i miei studi.   

Ammetto che mi trovai in serie difficoltà ad orientarmi tra quelle casupole con in mano solo quella lettera. O per meglio dire dei pezzetti di carta in una busta con su scritti solo il nome di quel posto e una frase senza senso ma che percepivo sarebbe stata la mia bussola: 


“Chieda della levatrice, così potrà scorgere le orme che si dirigono verso la tana. E lì finalmente i problemi avranno un senso” 


So che questo ti potrebbe sembrare solo uno stupido scherzo, ma ti prego di continuare la lettura, soltanto per un altro po', affinché tutto ti sia più chiaro. 

Passerò direttamente a raccontarti di quando infine mi trovai ai piedi della tana: una casetta come tutte le altre scrutate in precedenza dove all’esterno erano presenti omaggi freschi di giornata e scritte che auguravano una lunga prosperità. Un lieve sorriso mi attraversò il volto. 

Poi mi resi conto che per loro valevo meno di una pagnotta, nonostante fossi stato chiamato  dall’altra parte dell’Inghilterra. Ammetto che ,per la prima volta, la mia curiosità prese il sopravvento sull’etica professionale. Quasi scalpitai al desiderio di entrare lì dentro per avere una vaga idea di quello che stava succedendo. O di quello che sarebbe accaduto. 

La porta si aprì senza preavviso. Ne uscirono due uomini minuti con visi scavati e visibilmente segnati: uno dal duro lavoro e l’altro dalla precoce vecchiaia. Quatti quatti si avvicinarono, come se non volessero disturbare il sonno di qualcuno. Tanto da schiacciarsi addosso a me per avere un minimo di conversazione. Quando seppero chi ero – non che servisse chissà quale acume per non notare i miei abiti di sartoria, nonostante la fanghiglia – non esitarono a prendermi per mano per accogliermi nella loro dimora. 

Più che un’accoglienza fu un vero e proprio incitamento a recarmi d’urgenza verso la questione da risolvere. A causa dei loro strattonamenti potei solo scorgere i numerosi ornamenti, seppur spartani, che tappezzavano tutte le mura. La curiosità divenne all’istante puro senso di smarrimento fino a quando non raggiungemmo la nostra meta. La parte più oscura e profonda della tana. 

Niente inutili chiacchiere. Mi implorarono di aprire alla svelta la borsa, di prendere lo stretto necessario e di fare il mio lavoro. Ammetto di non ritenermi un prodigio in questo campo, anche se non ho mai perso occasione di cimentarmi in diverse specializzazioni solo per essere un passo avanti a tutti. 

Eppure quando vidi quella donna distesa sul tavolo dimenarsi come un’ossessa e lamentando incessanti dolori alla pancia, così gonfia che sembrava pronta ad esplodere, non capii subito come reagire. Ti voglio risparmiare le ore passate a gestire il travaglio, anche se so che potresti ricavarci ulteriori nozioni da applicare in futuro, e non soltanto informazioni da aggiungere al mio alibi.  

In questo momento non voglio neanche pensare all’idea di uscire, di abbandonare queste mura e ricominciare una vita, come se non fosse mai successo niente. Non dopo essere rimasto nel villaggio svariate settimane. Non dopo aver mostrato al mondo con tale fierezza ciò che mi portai da quel viaggio. Quella donna fu soltanto il deliziarsi beatamente con il primo morso della mela più perfetta che possa esistere in terra. Per poi farsi travolgere da quell’essenza fino a che non incapperai nel rinsecchito torsolo. E allora sarà troppo tardi per mantenere in salvo quegli attimi di felicità. Perché solo le bocche sono capaci di rendere un avvenimento perfetto e maestoso. Lo so bene, William. Un paragone del genere è quanto di più sbagliato si possa fare. Credo che le persone venute a conoscenza per la prima volta del fenomeno legato a quella donna non gli abbiano attribuito di certo l’appellativo di “ maestoso”. I giornali cercarono in tutti i modi di esaltare questo “fenomeno d’altrove”, ben consci di sapere che qualcuno ci avrebbe creduto. Ti voglio riportare in questa lettera il primo articolo legato alla faccenda, pubblicato sul Weekly Journal, dove è citato anche il mio nome. Non nego che anche dopo tutti i trascorsi, vedere un riconoscimento simile mi procuri ancora una piccola gioia. 


“SIAMO ANCORA PRONTI AI MIRACOLI? LA VERA STORIA DELLA DONNA CHE PARTORÌ NOVE VOLTE IN UN MESE 

Una povera donna che vive a Godalmin, e che vuole restare anonima, è stata il mese scorso aiutata da Mr. John Howard, eminente medico e ostetrico, a partorire una creatura che assomigliava in tutto e per tutto ad un coniglio, ma con cuore e polmoni cresciuti fuori dal torace, oltre a varie teste di pesce mozzate, in seguito identificate essere d’anguille. Quattordici giorni dopo lo strano parto ce ne fu un secondo, dove però stavolta fu il turno di un coniglio perfettamente formato, a cui ne seguirono altri sette per ogni giorno della settimana successiva. Tutti e nove morti vedendo la luce.” 


Ed io che non avevo ancora finito gli studi. Ti sembrerà strano ma all’inizio ebbi timore che tutto questo venisse dimenticato nel giro di qualche settimana. Ma viviamo ancora in un mondo dove allo stremo delle forze si rivolgono gli occhi al cielo in attesa di un miglioramento, o di una qualsiasi altra risposta. Perciò, come avrai notato, la gente ci credette eccome. Anche Mary, la donna del momento, non trovò così difficoltoso uscire dall’anonimato. Il suo nome arrivò perfino alle orecchie dei massimi esponenti della medicina britannica. Il loro cercare di agguantare solo per un istante le attenzioni di Mary, come un damerino che tenta di conquistare la più bella della festa, fu per me uno spettacolo osceno. Vedere uomini che avevano l’onore di rappresentare la ragione di questo paese arrivare a perdere qualsiasi pudore. È questo che non riuscivo a sopportare. Che d’un tratto anni di rivoluzioni e scoperte andassero in frantumi. Si incominciò a credere in teorie campate per aria. In qualcosa più grande della scienza. Ma non io.  

Fu così, William, che tu non avesti più mie notizie fino a questa lettera. Rinunciai a tutto e a tutti. Rimanere alla ribalta sarebbe stato come burlarmi di me stesso. Mi rintanai - neanche a dirlo - come un coniglio in questo postaccio. Tutto sommato fu anche un colpo di genio. Ad oggi nessuno mi ha rintracciato, neanche dopo che la verità saltò fuori dalla tana. Forse Mary si era stufata di averli tutti all’amo.

 

“Inserimento forzato di piccoli animali nel sesso tramite un danneggiamento (e allargamento) della cervice uterina” 


Fu con questa frase che tutta questa faccenda si chiuse, per la povera contadina. D’altronde, l’albo dei medici doveva pur trovare qualcuno a cui dare la colpa di tutto questo.Nessuno seppe più niente. 

È strano. Perché io non la smetto di prenderli in giro per ciò che (non) hanno fatto. Ma non a te, William, per questo ti invio questa lettera. Per dirti che sì, anche io ho creduto a quella storia. Anche io sono rimasto scioccato nel vedere quelle zampine uscire dal suo corpo e riversarsi sul pavimento. Ero veramente convinto di far conoscere a tutti la storia di Mary. Ma non ho mai creduto, non una singola volta, ad un qualche intervento divino. A differenza degli altri, ho sempre messo la ragione prima di tutto. E ora che mi ritrovo qui, da solo e prossimo a chissà quale altra sventura, mi sento felice. Avevano ragione. In quella tana ho trovato un senso ai miei problemi. E di questo ho l’assoluta certezza. 


(c) 2022 Valerio Cacciagrano
Bio: È al suo esordio nella narrativa anche se si è sempre occupato della scrittura attraverso varie attività legate ad essa. Dal 2017 è impegnato nella scrittura e nella traduzione. Fa parte dell’associazione culturale “Not Equal”. Ha conseguito un attestato di formazione professionale e un master in scrittura creativa nei corsi tenuti dalla scrittrice Alda Teodorani.


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